Sono stato a Dobbiaco, a raccontar qualcosa di Cultura TecnoTerritoriale al convegno dedicato alla Cittadinanza Digitale e alla Scuola3D promosso dall’Istituto Pedagogico di Bolzano. Bonaria Biancu (autrice anche della foto qui vicino) su Geeklibrarian e Maddalena Mapelli su Ibridamenti bloggavano in tempo reale, Mario Rotta e Gianni Marconato han pubblicato ciascuno un resoconto dell’intensa full-immersion dell’altra settimana.
Per i contenuti esposti, assai interessanti, vi rimando ai succitati articoli e al wiki ufficiale dell’iniziativa; da parte mia posso sottolineare l’ottimo clima amichevole che si è instaurato fin da subito tra i partecipanti, le preziose pause-sigaretta, le chiacchierate notturne presso improbabili bar dall’arredamento tipo far-wast lato pellerossa, con ritratti di fieri guerrieri Cheyenne (i quali guerrieri sono sempre fieri, come le BWV sono potenti e gli economisti sono distinti), selle polverose, un divano sgangherato con coperta lercia, legno dappertutto e ottimo rock-blues del ’73/’74, dentro. Una teoria diffusionista vuole che a Bolzano si ascolti ancora la musica degli anni ’90, poi risalendo la Val Pusteria si incontrano via via i DuranDuran e i Pet Shop Boys, segue Dobbiaco e i Settanta, verso il confine hanno scoperto i Beatles. Esagero; però credo che in ogni villaggio di ogni valle del mondo ci sia una birreria che mette su i Led Zeppelin, ogni tanto.
Sono stato educato, ho litigato solo un paio di volte, al convegno (al bar, evito da anni).
La prima è stata quando un’insegnante si lamentava del non veder riconosciuto il proprio lavoro online dall’istutuzione scolastica “di appartenenza”: le ho risposto dicendole che lei non appartiene alla scuola. Ovvero, proprio concepire il proprio lavoro secondo i criteri di giudizio scolastici, oggi che la scuola è orribilmente arretrata nel preparare i giovani a vivere con tranquillità e consapevolezza nella modernità anche digitale, diventa una richiesta a cui non si può rispondere. Io per lavoro formo le persone, non gli insegnanti. Poi questi insegnanti se sono persone a loro agio nell’uso dei nuovi media (se insomma hanno un blog, un aggregatore, e sanno usare tutto google, per dire) sapranno anche integrare seamlessly nel loro flusso narrativo didattico i modi e le risorse per reperire informazioni e trattarle, arricchendo il tutto con la loro professionalità. Se la Scuola non comprende il significato di una Educazione alla Cultura Digitale, l’errore è cercare riconoscimento e quindi identità dal Dirigente scolastico o dall’Istituzione scolastica stessa.
Ormai penso che gli insegnanti dovrebbero comunque avere una vita digitale autonoma, dove con le dovute cautele – privacy, responsabilità; e sono uno che cerca di far aprire alle scuole dei blog “centralizzati” per evitare quella esplosione di Luoghi web scolastici non coordinati che credo sia ormai in atto, da cui diventa difficile ricavare l’identità complessiva della scuola in questione – raccontare con regolarità anche eventi quotidiani oppure straordinari della vita in classe.
Acquisire visibilità verso altri colleghi, dentro le comunità online organizzate per campi d’interesse, come quelle scolastiche, indipendentemente dalla vicinanza geografica. Acquisire visibilità verso il territorio, rendendo i propri spazi di pubblicazione Luoghi di cittadinanza digitale attiva, dove portare le quinte classi delle primarie a comportarsi come reporter nel mostrare bellezze e bruttezze del circondario.
Banalmente, se come insegnante che usi il web per la didattica aspetti comprensione e finanziamenti da un dirigente che ha problemi a gestire un fax e si fa stampare le mail dalla segretaria morirai aspettando, e forse nemmeno mostrare il lustro mediatico che la scuola ne può ricavare ti può servire, perché per certi presidi meschini restare nell’ombra a rubar soldi allo Stato è molto più facile.
Nell’altro caso, ho contribuito personalmente ad alzare i toni della discussione per evitare che si ricadesse in tematiche che nella letteratura anche italiana riguardante “il ruolo dell’insegnante e l’introduzione delle TIC a scuola” (probabile titolo di dozzine di convegnetti negli scorsi anni) sono state ampiamente prese in esame e posizionate sotto una luce corretta, dove alla fin fine si comprende che l’apprendimento non è certamente addestrare delle persone a far questo e quest’altro, ma suscitare negli individui e nei gruppi classe la curiosità e i metodi del conoscere sé stessi, gli altri e il mondo, attraverso tutti i media “in entrata” e “in uscita” di cui si dispone. Che l’insegnante venga fatto inciampare da ogni nuova tecnologia che arriva in classe, e quindi si senta destabilizzato e senza più riferimenti, spodestato da un bambino che usa word e youtube meglio di lui, non mi interessa più tanto. Se ne parlava al tempo degli ipertesti, nel 1997, toh. Se nel 2008 un insegnante non sa portare il mondo dentro la scuola, e quindi nemmeno la scuola nel mondo o semplicemente porsi come attore sociale consapevole del proprio ruolo, vuol dire che quella persona ha accuratamente schivato il web per dieci anni, e ci vuole caparbietà per riuscirci così bene. Inutile aspettarsi cambiamento, non c’è nessun aggiornamento scolastico capace di risolvere il problema della mancata motivazione negli insegnanti all’utilizzo moderno delle TIC; non si tratta di un problema di Cultura Tecnologica e nemmeno tecnico (uso degli strumenti), si tratta di modificare una visione-del-mondo sul piano individuale, e lottare contro le resistenze al cambiamento tipiche di ogni organizzazione lavorativa, figuriamoci la Pubblica Amministrazione scolastica. Servirebbero DeBono e i cappelli per pensare, forse, o un guru aziendale di quelli bravi o una squadra agguerrita di psicologi, e bisognerebbe trascinare tutti i dirigenti e i docenti in dei percorsi durissimi di smascheramento e creatività.
Durante il convegno a Bolzano si sarebbe potuto parlare maggiormente di Cittadinanza digitale, e meno di scuola, tutto qui, anche perché lo stesso progetto Scuola3D (collaborai verso il 2002 alle sue fasi iniziali, ancora su un Mondo Attivo pubblico, Italcity) fa emergere chiaramente il significato civico, educativo, della frequentazione consapevole dei Luoghi digitali.