Su Apogeo trovate un mio articolo, tutto dedicato alla Cultura Tecnoterritoriale e all’Abitanza digitale.
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Ok, lo incollo qui.
Per una cultura tecnoterritoriale
Abitiamo territori biodigitali, costruiamo oggetti sociali, progettiamo sistemi complessi, espandiamo reti relazionali, popoliamo paesaggi mediatici, agiamo sul futuro. Ma le grammatiche con cui impariamo a leggere il mondo sono datate e non ci aiutano a interpretare.
Dalla consapevolezza che una modificazione così profonda degli habitat umani non può rimanere esterna agli individui e alle collettività (vedi Longo, Homo technologicus), ma anzi innesca quei comportamenti sociali concreti da cui poi le persone e i gruppi traggono senso di identità e di appartenenza ai Luoghi, sorgono alcuni interrogativi relativi alle modalità stesse con cui “leggiamo” queste trasformazioni del nostro abitare i territori biodigitali, domande che dovrebbero innanzitutto riguardare riflessivamente proprio la nostra stessa capacità di interpretare la realtà in rapido mutamento. Sappiamo leggere e interpretare? Ovvero abbiamo con noi delle grammatiche aggiornate per decodificare senza troppe scommesse epistemologiche il funzionamento dei nostri ambienti di vita, per poter poi meglio decidere tutti insieme sulla qualità e sul significato della parola “ben-stare”? Stiamo indossando il giusto paio di occhiali? O, prima ancora, sappiamo di indossare un paio di occhiali, quando guardiamo le nostre città, i territori degli insediamenti umani? Se siamo stati culturalmente formati – poco – a cogliere le macro-entità del mondo industriale (ciminiere, capannoni, ipermercati, dighe), siamo oggi in grado di cogliere i segni di una modernità post-industriale fatta di manufatti miniaturizzati oppure totalmente immateriali come nelle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione?
La consapevolezza dell’abitare in un luogo biodigitale per me è arrivata appunto riflettendo, grazie a buoni libri e a insperati incontri, sulle caratteristiche ormai intimamente tecnologiche dei territori fisici degli insediamenti umani. Sappiamo come in ogni tempo e a ogni latitudine (vedi Righetto, La scimmia aggiunta) gli esseri umani vincano il confronto con la selezione naturale per il semplice fatto di possedere tecnologie dell’intelligenza e strumentali (arnesi, protesi) con cui poter modificare la propria relazione in quanto collettività con l’ambiente che li accoglie, in un dialogo continuo intessuto da parole come “utilizzo delle risorse naturali”, “produzione e distribuzione”, oppure in generale da concetti come materia, energia ed informazione ed il loro vario combinarsi nei manufatti.
Se un bambino in quarta elementare comprendesse il concetto di interruttore elettrico, potrebbe forse crescendo comprendere meglio, in modo sistemico, il concetto di impianto, e quindi quello di rete energetica territoriale… potrebbe forse rispondere con maggior cognizione di causa a una domanda che gli si porrà nella sua età adulta, per esempio “che cosa modificheresti nell’attuale sistema della viabilità cittadina? dove interverresti per ottimizzare la distribuzione delle risorse ed evitare sprechi e inquinamento?”. La scommessa riguarda quindi la possibilità di diffondere, a partire proprio dal sistema educativo di base, quelle competenze grammaticali che permettano di leggere il territorio e le sue conversazioni in modo reticolare e processuale (flussi e relazioni, non strutture), nonché consapevole del carattere costruito degli ambienti di vita, nel convincimento che queste scelte interpretative offrano con maggiore probabilità la possibilità di cogliere le rapide dinamiche sociali di quest’epoca di profonda transizione culturale.
Proprio come un informatico porrebbe al centro del suo interesse professionale l’interrelazione tra il software e l’hardware, un urbanista digitale tenta di valutare le possibilità offerte alla socialità dalla presenza di ambienti biodigitali, dovenuovi manufatti e nuovi linguaggi ridisegnano la comunicazione interpersonale e l’immaginario delle collettività abitanti (vedi Sterling, La forma del futuro).
Come Abitante, partecipo a conversazioni, e ne ricavo appartenenza. Promuovo qualità dentro i sistemi attuali, perché mettere pannelli fotovoltaici fa crescere (o meglio, decrescere) il territorio da molti punti di vista, così come realizzare percorsi ciclopedonali per far andare i bambini a scuola migliora tutta la qualità della viabilità cittadina, e gli effetti si sentono sistemicamente fino in periferia. Se poi frequento Luoghi web di abitanza digitale, partecipando a un forum tematico sulla rete Civica oppure pubblicando i miei video sui blog urbani dove si tiene traccia dei ragionamenti partecipativi degli Abitanti rispetto alle problematiche locali, contribuisco senz’altro alla costruzione corale dell’identità della collettività di cui faccio parte.
L’assimilazione di questo cambiamento paradigmatico capace perfino di ridefinire il sentimento dell’Abitare ci porterà auspicabilmente all’aver cura dei territori biodigitali percepiti come casa, all’arredamento degli spazi della socialità: l’urgenza di cartografare i territori digitali in particolare dovrà intrecciarsi con la consapevolezza di avere a che fare con reti di persone e pratiche sociali che si creano e si disfano continuamente, con flussi di simboli e immagini mediatiche dal valore emergente e folksonomico grazie a cui avviene – spesso in maniera conflittuale, quando il cambiamento porta a rinnovare le metafore e le visioni culturali con cui edifichiamo l’immaginario – l’allestimento degli scenari identitari abitati dagli attori individuali e gruppali di questa modernità.