L’8 e il 9 febbraio a Udine si tiene “State of the Net”, lo stato dell’arte della rete, sarebbe il caso di dire “edizione italiana”. Fra gli organizzatori c’è Sergio Maistrello . Quasi per caso su Gtalk abbiamo cominciato a parlarne, e questa ne è la trascrizione, depurata ovviamente di tutte le cose che non c’entrano e delle rozzezze dell’editing veloce, più qualche link.
Tu organizzi State of the Net . Posso dire che se guardo l’immagine che avete messo sul sito (foto in alto a sinistra) capisco che è un altro convegno dove parlerete male dei media e poi andrete a mangiare?
Puoi dirlo, ma non sarebbe del tutto vero. State of the Net è un tentativo di inserire anche l’Italia nel circuito di conferenze internazionali dedicate agli sviluppi della Rete e alle sue influenze sulla società. Il che significa avere interlocutori internazionali (Winer, Mayfield, tanto per cominciare), ma anche uscire dagli angusti dibattiti locali. L’Italia è una provincia, vista con gli occhi di Internet. Si mangerà, certo, ma si parlerà anche con professionisti competenti, a cominciare dal tuo collega Mario Tedeschini Lalli, che non è certo uno che svende il ruolo dei media, no?
Beato Mario, che può girare per convegni e invidio molto il cibo, meno il vino che non posso bere. E sono d’accordo che siamo una provincia. Ma uno dei modi per non essere provincia è fare tendenza in proprio senza importare le idee degli altri. Almeno questo penso io
Hai ragione, ma forse è necessario che l’Italia maturi ancora un po’ per fare tendenza a sé. Siamo spesso capaci di grandi aperture, ma nel contempo abbiamo una retorica sulle cose di Internet e un racconto delle tecnologie da paese medioevale. Mi piace pensare che occasioni come State of the Net, nel loro piccolo, riescano a dare un contributo in questo senso. Quanto meno questo è lo spirito con cui stiamo organizzando la conferenza (non solo io, l’idea è di Beniamino Pagliaro, ci lavora anche Paolo Valdemarin e ci sostiene la Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia).
Se ti chiedessi di fare la sintesi dei contenuti di state of the net in cinque righe, cosa mi risponderesti?
Due giorni, li abbiamo chiamati “oggi” e “domani”. Oggi parliamo di numeri, economia, esperienze aziendali, comunicazione allo stato dell’arte. Domani approfondiamo le influenze su informazione, società, politica e cultura. Il tutto condito da tre keynote di indirizzo: Dave Winer, Ross Mayfield e una sorpresa che annunceremo nei prossimi giorni. Sono stato in cinque righe?
Dipende da come si intende la lunghezza delle righe, in quelle delle 61 righe di giornale, no, ma quella è una misura antiquata, nella quale voi non volete stare, con qualche eccezione di giornali amici
Touché. Pensa che sulla rivista online che mi capita di dirigere (Apogeonline) ho sostanzialmente abolito le misure, entro limiti ragionevoli. Se parliamo di Internet, non mi riconosco nei tempi imposti dagli standard del web design: c’è spazio per tutti/tutto, decide il lettore. Se parliamo di giornali, invece, le 61 battute per righe sono un limite che da buon giornalista nato sulla macchina per scrivere tendo a onorare.
61 poi erano solo a Repubblica…, fai bene a citare il tuo Apogeo on Line che è una delle poche realtà di informazione tecnologica che leggo con piacere – insieme direi a Punto Informatico e ai ragazzi di VisionPost
Ora tu non pensi che sia venuto il momento in cui si potrebbe smettere con la fase della “rete che parla di sé” e cominciare con la parte abitata della rete (l’autore di questa definizione dovresti conoscerlo) che parla del mondo? E ne parla con i media, con le forze economiche… Perché così, dico, viene meglio fuori chi siamo, perché se uno è un soggetto economico con degli interessi non smette di esserlo solo perché abita la rete…
Sì, lo penso. E mi sento di dire che è pure lo spirito con cui nasce State of the Net: non intendiamo parlarci addosso di rete, ma parliamo di realtà a confronto con la rete o di scenari in cui soggetti economici o semplici cittadini del mondo si troveranno verosimilmente a vivere. Senza alcuna ancora ideologica. Voglio dire: non è necessariamente tutto perfetto, non è tutto scontato. Ne parliamo, appunto.Avrai seguito i commenti al post di Gilioli sull’intervista mai fatta a Grillo. Si pone una questione che mi è cara: che secondo me le dinamiche base della rete possono essere girate e usate in modo ideologico, manipolatorio dell’informazione, in modo fortemente equivoco.
Il caso dei “grillini” dimostra che si tende a vivere come vere notizie ciò che sono solo affermazione apodittiche. Non pensi che sia ormai matura una critica delle forme di “coscienza”, di auto consapevolezza della rete?
Intendo gli stessi strumenti della reputazione, della discussione, della disseminazione noi li viviamo e io li propongo in ogni sede, anche non pubblica, come strumenti di democrazia, di cambiamento e rigenerazione dei media. Poi il primo esempio concreto in cui il fenomeno prende massa critica è invece un caso clamoroso di manipolazioneI meccanismi della reputazione e dell’autoregolazione del sistema abitato della Rete funzionano se giochiamo tutti allo stesso gioco. Grillo non sta giocando il gioco che spesso invece adora sbandierare ai quattro venti. Il caso Gilioli-Grillo ne è una conferma non tanto per l’intervista mancata, che pure è un segnale estremamente interessante, quanto per la completa assenza di ogni partecipazione del comico al vasto dibattito che questi giorni lo sta interessando. Che questo produca storture come la massa di sostenitori acritici che si automotivano per abbattere in modo violento e non costruttivo ogni critica sul loro guru, mi sembra una conseguenza (allarmante, certo) di un gioco della Rete condotto senza trasparenza, ascolto e confronto aperto. E che umilia chi, tra i sostenitori di Grillo, ci crede davvero e prova a percorrere la propria via al cambiamento. Questo, sia ben chiaro, al di là della battaglia in corso da Grillo, parlo di metodo. Quindi, per rispondere alla tua domanda: io credo ancora e molto nella coscienza e nell’autoconsapevolezza della Rete, come le definisci tu. E non riconosco Grillo come un prodotto della parte abitata della Rete, per quel che conta. Dimostra semmai che è necessario investire molto su un racconto serio di Internet, elevando gli anticorpi di ciascuno piuttosto che limitando la portata dello strumento o negandone parte delle virtù.
Purtroppo io sono meno ottimista di te: penso cioè che lo strumento (le tecnologie abilitanti) siaquello che è, una rivoluzione, ma come tutte le rivoluzione si porti dentro la sua degenerazione.
Io ho un’ispirazione gandhiana, in questo. La rivoluzione è dentro noi. Gli strumenti abilitano e modificano le percezioni. Ma il cambiamento dipende da noi, oggi come un secolo fa. Per questo la Rete, che pure è un’innovazione meravigliosa, da sola non serve.
E su Gandhi siamo tutti d’accordo, anche se Gandhi era contro le ferrovie e contro i farmaci.