Due specie si fronteggiano nuovamente per la sopravvivenza, a decidere il loro destino siamo noi, con le scelte dettate dall’usabilità.
Sto parlando dei “cellulari che fanno tutto”, navigano, wifizzano, fotografano e filmano, hanno giga di memoria, e comunicano poi con altri telefoni.Stabiliamo subito che forma e funzioni debba avere lo strumento di comunicazione ipermediale portatile ideale, senza tanto cincischiare. Quello che tra 6 anni avranno tutti in tasca, come il cellulare tra il ’94 e il 2000.
Ma ad un certo punto arriverà una rivoluzione tecnologica ora ineffabile, e avremo magari un display innestato nella cornea o che so io. Cose che viste da qui, sembrano magìe.
Tutti diventaremo un po’ registi dell’espressione di sé, quindi, con competenze specifiche di psicologia, di comunicazione interpersonale online, di produzione di multimedia.
Giungerà il momento in cui saremo soffocati dai contatti personali: se ogni telefonata si trasforma in un viaggio nei documentari di Piero Angela o in una webquest collaborativa, giusto per dire la complessità della narrazione, patiremo eccessivamente l’immediatezza della presenza degli altri, il grado di coinvolgimento interumano richiesto sarà sempre altissimo, e sarà come vivere sempre connessi, alzando il “metabolismo della comprensione della comunicazione e della produzione di espressione”, accelerando il ritmo della socialità vissuta.
Non credo a priori sia una buona cosa, stiamo sempre parlando di un estremo, forse un eccesso, un fanatismo inziale che poi magari col tempo troverà il suo equilibrio, nel donare a noi equilibrio tra l’attenzione alle parti pubbliche del Sé e una certa riflessione sull’interiorità, chiedendo gli occhi e le orecchie e spegnendo gli strumenti che ci legano al gruppo.
Acquisteranno certamente valore gli spazi che garantiscono silenzio soprattutto mediatico, luoghi artatamente isolati dall’umanità connettivante.
Esiste certo il lusso di poter non avere il cellulare.