Come già dissi, in me si agitano ancora degli assetti valoriali sgocciolati giù dagli anni sessanta e dai dibattiti degli anni settanta, in me sopravvivono richiami ad una rivoluzione giovanile che chi è cresciuto in pieno negli anni ottanta già non possiede più.
A Udine, periferia dell’Impero, nel 1982 la cultura era ancora quella dei Settanta, nei bar suonavano jazz-rock o blues, Weather Report o Canterbury Sound o Peter Green, le ragazze fricchettone avevano le camicie indiane, borsa di cuoio con saffi arrotolato alla cinghia pronto per filtrare il cilum, si innamoravano di Morrison o di Robert Plant.
Ma per cambiare il mondo serve educazione.
Ho provato a lavorare nel sociale, poi ho redatto e condotto dei progetti territoriali rivolti alla popolazione giovanile, poi mi sono accorto che in realtà proprio le scuole elementari sono il luogo della formazione delle personalità dei futuri cittadini (non parlo di contenuti, parlo dei contenitori destinati ad accogliere le identità), e che quindi se volevamo cambiare il mondo io e Jim Morrison dovevamo rivolgerci agli insegnanti delle scuole primarie, perché lì avvengono le alchimie della trasformazione, lì vengono dissodati nutriti e bagnati i campi ovvero le giovani menti degli allievi, affinche siano pronte ad accogliere e far germogliare i contenuti, le capacità e le competenze che gli ordini scolastici successivi semineranno.
Poi oggi leggo su FuoridiClasse un bell’intervento di Lorenza, il quale a sua volta richiama Zambardino a sua volta ripreso da Lipperini.
C’è un gran bisogno di Cultura Tecnologica. Punto.
C’è un gran bisogno di superare dualismi del tipo “le due culture”, stantii e superati da sessant’anni.
C’è un gran bisogno che la Scuola si dia una mossa, e parlo di comportamenti e competenze, di visione-del-mondo, non di computer.